Stato-mafia, la procura chiede la citazione del presidente Napolitano

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  1. Emanu01
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    "Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo", aveva scritto alcuni mesi fa il capo dello Stato ai giudici della corte d'assise che stanno cercando nei misteri della trattativa fra pezzi dello Stato e vertici della mafia, nel 1992. Ma alla procura di Palermo non bastano le due pagine giunte dal Quirinale in cui Giorgio Napolitano ribadiva di non conoscere alcun retroscena sulla lettera che interessa tanto i pubblici ministeri, quella che gli fu inviata dal suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio, poco prima di morire. Per questa ragione, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi ha chiesto al collegio presieduto da Alfredo Montalto di attivare le procedure per la citazione di Napolitano, già autorizzata all'inizio del processo. Il presidente della corte Alfredo Montalto ha "preso atto che la procura insiste nella citazione del presidente della Repubblica" e ha spiegato che "scioglierà la riserva sulla citazione" del Capo dello Stato. Dopo la lettera del Colle, l'Avvocatura generale dello Stato aveva infatti chiesto di non citare il presidente, ritenendo la sua lettera esaustiva.

    La lettera a cui fa riferimento la Procura di Palermo aveva toni drammatici: D'Ambrosio ribadiva la correttezza del suo operato dopo le polemiche seguite alla pubblicazione delle telefonate con l'ex ministro Nicola Mancino, intercettato nell'ambito dell'inchiesta trattativa. Alla fine di quella lettera, D'Ambrosio si lasciava andare a uno sfogo, che esprimeva un timore, "quello di essere stato considerato un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993". Era il periodo in cui D'Ambrosio fu prima all'Alto commissariato per la lotta alla mafia e poi al ministero della Giustizia.

    "L'essenziale - ha ribadito il presidente della Repubblica nella lettera alla corte d'assise - è comunque il non aver io in alcun modo ricevuto dal dottor D'Ambrosio qualsiasi ragguaglio o specificazione circa le "ipotesi" - solo "ipotesi" - da lui "enucleate" e il "vivo timore" cui il mio Consigliere ha fatto generico riferimento". Napolitano ribadiva: "Né io avevo modo e motivo - neppure riservatamente, nel colloquio del 19 giugno - di interrogarlo su quel passaggio della sua lettera. Né mai - data la natura dell'ufficio ricoperto dal dottor D'Ambrosio durante il mio mandato come durante il mandato del Presidente Ciampi - ebbi occasione di intrattenermi con lui su vicende del passato, relative ad anni nei quali non lo conoscevo ed esercitavo funzioni pubbliche (Presidente della Camera dei deputati) del tutto estranee a qualsiasi responsabilità di elaborazione e gestione di normative antimafia".

    Giorgio Napolitano ha ricordato ai giudici di Palermo di avere pubblicato lui stesso la lettera del consigliere D'Ambrosio in una raccolta di interventi sulla giustizia: "Quella mia iniziativa, di certo non dovuta, corrispose a un intento di massima trasparenza nel documentare e onorare il travaglio umano e morale del Consigliere D'Ambrosio, provocato dalla diffusione, sulla stampa, di testi registrati (non si sa quanto correttamente e integralmente riprodotti) di conversazioni telefoniche con il senatore Mancino, intercettate dalla Procura di Palermo, e da cui vengono ricavati elementi di grave sospetto su comportamenti tenuti dal mio collaboratore". Per quelle telefonate, D'Ambrosio era stato anche convocato dai pm di Palermo, e lui stesso aveva parlato di "ipotesi" a proposito di alcune considerazioni fatte con Mancino.

    Fonte: http://palermo.repubblica.it
     
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